Intervento introduttivo all’assemblea del 25 gennaio 2023, integrata con l’intervento all’incontro del 14 marzo, sul recupero dell’ex caserma Pozzuolo del Friuli a Ferrara
La caserma Pozzuolo del Friuli ha cessato la propria funzione militare nel 1997. Si tratta quindi, da oltre
vent’anni, di una grande struttura dismessa, perché ha perso la funzione per la quale era stata costruita.
Occupa uno spazio importante nel centro storico della città , buona parte di un grande isolato nel quale è
inserito anche palazzo Schifanoia. Quello che, in passato, sarebbe stato definito un “comparto risorsa”, un
comparto utile cioè a dare soluzione anzitutto a problemi esistenti nel quadrante del centro storico in cui si
trova inserito.
Il comparto era, e di fatto è tuttora, di proprietà pubblica e questo dovrebbe facilitarne il recupero per
funzioni utili alla comunità locale. Avviene invece da tempo in questo Paese che le proprietà demaniali non
siano considerate, in quanto tali, al servizio delle comunità locali in cui si trovano ma voci di bilancio, da
mettere in vendita sul mercato immobiliare per “fare cassa”. A questo proposito mi pare indicativa una
breve lettera che firmai come presidente della sezione di Italia Nostra di Ferrara inviata nel dicembre del
2003 al Ministero del Tesoro: “In occasione della importante riunione fissata in data odierna presso codesto
Ministero, avente per oggetto il destino del complesso immobiliare della caserma Pozzuolo del Friuli di
Ferrara, la locale sezione di Italia Nostra richiama con forza l’attenzione dei Ministeri competenti sulla
importanza strategica della struttura, attraverso adeguati strumenti di pianificazione, per la soluzione di
problemi riguardanti l’intero centro storico della città, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’Umanità.
Auspica pertanto che il complesso immobiliare sia assicurato al controllo e all’uso pubblico attraverso
l’interesse dichiarato ed espresso dal Comune di Ferrara”.
Non è un comparto da recuperare in modo qualunque: qualsiasi altra Amministrazione Comunale dal 97
ad oggi sarebbe stata capace di recuperare quel comparto alle condizioni che vengono proposte-imposte
oggi dalla attuale Amministrazione col progetto Fe.Ris; il fatto è che si sarebbero vergognati anche solo a
proporre una operazione del genere:
si tratta di una grande operazione speculativa privata nell’area della caserma, collegata con operazioni
speculative in aree esterne di grande pregio, finora considerate intoccabili dalla pianificazione urbanistica
vigente e dalle norme che regolano, dagli anni ’50 ad oggi, lo sviluppo della città. Un regalo senza
precedenti ad operatori privati attraverso lo strumento dell’accordo di programma, che creerebbe un
precedente gravissimo, una autostrada per future operazioni del genere.
Cosa prevede il progetto Fe.Ris nel suo complesso è cosa nota ed evito di ripeterla. Mi limito a dire che nel
comparto della ex caserma vengono proposti nuovi edifici a pochi passi da palazzo Schifanoia
assolutamente inguardabili dal punto di vista architettonico e che viene proposta una nuova piazza, forse
per cercare di dimostrare che nell’intervento c’è anche un interesse pubblico, dove non è mai esistita e
dove costituirebbe una anomalia nel tessuto edilizio storico della città.
Occorre ricordare che l’intera area e buona parte degli edifici che su di essa insistono è vincolata dalla
Soprintendenza. Un vincolo che fu posto, che io sappia, dall’allora soprintendente regionale Elio Garzillo su
buona parte degli immobili storici posti in vendita dal Demanio nel tentativo di salvarli da interventi
unicamente speculativi potenzialmente devastanti.
Il mio parere, del tutto personale, è che in interventi di recupero-rigenerazione di aree dismesse di questo
tipo non è da escludere a priori che siano necessari anche nuovi volumi. Gli indici volumetrici nei nostri
centri storici sono normalmente elevati, ma la qualità della vita all’interno delle città storiche è
normalmente alta, perché la qualità della vita dipende da altri fattori preminenti, quali ad esempio la
socialità, la maggior possibilità di relazioni sociali e la presenza di servizi.
La eventuale necessità di volumetrie aggiuntive (o integrative, poi spiego in seguito cosa intendo) devono
però nascere da un progetto generale di recupero del comparto che abbia come protagonisti principali
istituzioni pubbliche, per finalità di preminente interesse pubblico, progetto che poi può essere in parte
realizzato anche con il concorso di privati. E’ illusorio pensare che un comparto del genere possa essere
recuperato unicamente con iniziativa privata: oppure sì, è possibile, ma alle condizioni capestro proposte
nel progetto Fe.Ris., considerate normali, anzi positive, da questa Amministrazione.
Fissati i paletti all’interno dei quali ci si può muovere, chi dovrebbero essere i protagonisti e per quali
finalità?
Il comparto è di grande qualità – palazzo Schifanoia, istituzioni museali civiche, strutture universitarie nelle
vicinanze- quindi Comune e Università innanzitutto, anche con il coinvolgimento della Cassa Depositi e
Prestiti, attuale proprietaria dell’immobile.
Per quali funzioni?
– funzioni di completamento e di servizio delle vicine strutture museali – lo splendido edificio della
cavallerizza si presta a destinazione convegnistica-congressuale, ma anche espositiva (per il
comune, per l’università, per la città)
– strutture didattiche per l’università e strutture residenziali per l’università, ma con investimenti
pubblici legati al diritto allo studio, unici capaci di calmierare il mercato speculativo che colpisce gli
studenti fuori sede
– strutture residenziali pubbliche o private ed eventuali attività economiche di vicinato
– altre funzioni utili o necessarie a risolvere problematiche presenti nel quartiere, funzioni da
identificare parlando con la gente che vi abita, con incontri come questo. La storia nel nostro paese
ci insegna che una città è viva se si mantiene vivo il centro storico. Tutte le parti di una città hanno
pari dignità, ma il centro storico è, in genere, la parte più ricca di valori architettonici e di valori
sociali identitari di una comunità; un centro storico vive se è abitato, se è vissuto. Ma vivere in
centro comporta pregi, ma anche difetti e difficoltà. Queste difficoltà vanno identificate e, per
quanto è possibile, superate, anche attraverso il recupero consapevole e mirato di comparti risorsa
come quello della caserma Pozzuolo del Friuli.
Identificate le nuove funzioni, utili e condivise, l’ente pubblico promotore deve farsi carico della
progettazione. Il progetto mura insegna: fu possibile accedere ai fondi FIO perché era pronto un progetto
credibile e di qualità di recupero della cerchia muraria e di gran parte della strutture culturali e museali
della città. Per cogliere nel modo migliore possibile le occasioni di finanziamento occorre farsi trovare
pronti.
Dicevo sopra che per le nuove funzioni può essere che siano necessarie anche nuove costruzioni. L’ipotesi
non mi scandalizza a priori. Bisogna però capire come.
Io credo che in questi casi il metodo migliore sia sempre quello di partire dalla storia. Nella parte del
comparto in cui il progetto Fe.ris colloca le nuove costruzioni c’era il convento di San Vito. Ecco io ripartirei
da quello, per capire cosa è successo nel tempo, cosa è rimasto, cosa è stato demolito, cosa è stato
trasformato. Una rilettura di quella preesistenza, una ricomposizione volumetrica parziale in chiave
contemporanea (non certo rifacimenti in stile) potrebbe essere una strada per una riproposizione di parte
del tessuto edilizio storico di quel comparto. Non certo edifici totalmente avulsi dal contesto come quelli
proposti nel progetto Fe.Ris. e non certo una piazza, dove una piazza non serve e non c’è mai stata,
proposta unicamente per dimostrare un inesistente interesse pubblico nell’intervento.
Si sta parlando, lo ripeto, di una occasione straordinaria per reinserire nella vita della città un isolato
importantissimo, che non può avvenire senza una grande presenza e volontà degli enti pubblici. Si tratta
ora di verificare, e lo propongo anche come indicazione di lavoro per il Comitato, la effettiva volontà e
disponibilità degli investitori pubblici potenzialmente interessati:
– anzitutto la Cassa Depositi e Prestiti, proprietaria dell’immobile, che mi risulta abbia tra le proprie
attività e finalità il finanziamento di progetti e programmi di pubblica utilità,
– l’Università, trattandosi di comparto vicino ad importanti strutture universitarie; l’Università
investe ogni anno somme cospicue per il miglioramento e completamento delle proprie strutture
anche nella nostra città,
– il Comune, che dovrebbe essere il primo protagonista nel recupero del comparto, ovviamente
ribaltando totalmente la convinzione che l’isolato possa essere utilmente recuperato affidandolo
interamente all’iniziativa privata,
– l’Acer, altro importante investitore pubblico nella città, per interventi di edilizia residenziale
sociale nelle varie forme possibili, nel solco di una tradizione percorsa per decenni nel centro
storico della nostra città dall’ex IACP con importanti risultati.
Va detto infine che ogni intervento di recupero degli edifici esistenti, soprattutto se vincolati, deve partire
da una attenta analisi tipologica degli edifici stessi per scegliere funzioni con essa compatibili. Le nuove
funzioni vanno scelte anche in base alle caratteristiche degli edifici storici che le devono ospitare e non,
come troppo spesso avviene, scelte a priori per poi manomettere gli edifici che le ospitano.
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